LA FORMAZIONE SUPERIORE IN ITALIA
di Giancarlo Lombardi
Una raccolta di articoli sulla formazione
a cura del Centro Studi Orientamento
LA FORMAZIONE SUPERIORE IN ITALIA
di Giancarlo Lombardi
L'esigenza di una formazione diffusa
Il secolo che si sta per chiudere potrà essere a buona ragione
ricordato come il secolo della diffusione e della democratizzazione
dell'istruzione.
Negli ultimi cento anni l'Europa è passata da società rurali stagnanti e
povere, con un ridotto accesso all'istruzione, alle moderne società di
mercato caratterizzate da alta produttività, ricchezza, capacità di
rinnovamento, accesso di massa all'istruzione.
Il numero di persone che nel corso del nostro secolo hanno raggiunto
l'alfabetizzazione, o un certo grado di istruzione, supera di gran lunga il
totale del numero delle persone che hanno ottenuto simili risultati dall'inizio
della cultura scritta sino al 1900.
Lo sviluppo senza precedenti che le società di mercato hanno vissuto nel
corso di questo secolo sarebbe stato impossibile senza un enorme
ampliamento delle conoscenze e della qualità delle risorse umane: sono le
risorse umane insomma la chiave per comprendere lo straordinario sviluppo
dell'occidente e il ruolo centrale che in questo sviluppo spetta all'impresa
industriale.
Ma se la maggiore cultura ha generato sviluppo, la conseguente
accelerazione del progresso ha generato e genera una domanda di
cambiamento, e questo, in una sorta di circolo virtuoso, esige sempre
maggiori conoscenze.
D'altra parte è possibile pensare che, in un ambiente in profonda
trasformazione, gli scopi e le strategie deh'educazione restino immutati?
E se un cambiamento deve esserci, quali ne sono le caratteristiche e le
tendenze?
E per questo che l'impresa attribuisce crescente importanza alla formazione
e alla conoscenza ed è consapevole che la situazione europea, dove ben
15 milioni di lavoratori (il doppio degli studenti universitari) sono privi
di diploma o qualifica, costituisce un alto rischio di emarginazione e di
disoccupazione per i lavoratori stessi che, in caso di recessione, sono i primi
a perdere il lavoro.
E del tutto evidente che il sistema di impresa non può da s� solo
corrispondere a queste obbligazioni; l'impresa e il libero mercato
necessitano di vasti consensi, di nuove profonde alleanze, soprattutto di
revisione e di vera e propria rigenerazione sul piano dei valori, dei contenuti
culturali e delle modalità di trasmissione degli stessi.
La mancanza di formazione per i giovani e per i lavoratori occupati si
caratterizza insomma come una vera e propria nuova povertà: dunque la
nostra più grande preoccupazione deve essere quella di qualificare ed
estendere lo spazio della formazione.
L'esigenza di una formazione superiore diversificata
L'interesse per il tema della differenziazione e dell'innovazione nei sistemi
formativi, in particolare in quelli di istruzione superiore, è centrale per
Confindustria che da tempo persegue l' obiettivo di favorire l' innovazione
nell'alta formazione e attraverso l'alta formazione, e di suscitare forme
di cooperazione tra i vari soggetti che, dal lato dell'offerta e della domanda,
operano in questo settore.
Tra questi soggetti vi sono università, enti pubblici e privati di ricerca,
strutture formative di grandi imprese, regioni: uno spaccato, cioè, del
plvralismo istituzionale che già oggi caratterizza - e sempre più
prevedibilmente caratterizzerà nel futuro - l'area della formazione di livello
medio-alto.
L'insieme delle considerazioni sin qui svolte esige di essere calato nel
concreto svolgersi della vita dell'università italiana: è in grado il nostro
sistema universitario ed educativo di rispondere a tale maggiore domanda
di conoscenze?
L'attuale fase congiunturale dell'università risente senza dubbio del clima
economico generale e della difficoltà di reperimento di nuove risorse, pure
necessarie per far fronte alla sua non comprimibile espansione. Ma è pur
vero che l'università italiana ha fatto registrare negli ultimi 25 anni una
espansione sbalorditiva, sintetizzabile in poche cifre che danno la misura
del cambiamento:
- le città sedi universitarie sono passate da 37 a 121;
- gli studenti da 0,5 a 1,5 milioni;
- i laureati da 50 a 90 mila;
- i docenti da 8 a 43 mila.
Di fronte a queste cifre è comprensibile il malessere dei Rettori che devono
far quadrare i loro bilanci con risorse scarse e quello degli studenti che
devono far fronte all'inevitabile aumento di tasse e contributi.
In un confronto internazionale appare subito evidente che il nostro Paese
accusa un forte ritardo rispetto alla media dei paesi occidentali.
Per recuperare il tempo perduto e rendere nuovamente competitivo il nostro
sistema di istruzione superiore è necessario individuare sia i vincoli che le
risorse disponibili, identificando gli attori coinvolti, i tempi e le modalità
di azione, il significato individuale e sociale che rivestono.
Oggi, il sistema di istruzione superiore, che nella quasi totalità dei paesi
comprende una pluralità di livelli e di istituzioni, è uno dei punti cruciali
su cui si misurano le politiche educative, e il suo funzionamento costituisce
un indicatore fondamentale dello stato di salute della società; è quindi
preoccupante constatare che in Italia le procedure per il rinnovamento
dell'università, che detiene quasi il monopolio di questo livello, sono in
una situazione ambigua: sono stati varati prowedimenti attesi da anni, ma
altri prowedimenti come la riforma degli ordinamenti didattici, la
diversificazione dei percorsi, la realizzazione dell'autonomia vengono
disattesi o non vengono adottati.
Si pensi che la nostra laurea è censita, nelle classificazioni internazionali
più accreditate, fra i titoli di quinto livello, se si considera l'intero percorso
dell'istruzione dalla scuola dell'obbligo all'università, mentre in realtà fino
a qualche anno fa per noi rappresentava il terzo livello e attualmente, con
l'introduzione dei diplomi universitari, rappresenta il quarto livello. C'è
da dire inoltre che per noi il primo livello universitario è rappresentato dal
solo diploma, mentre in altre realtà comprende anche i primi cicli, che si
identificano con il percorso iniziale dei corsi universitari di secondo livello,
godendo di una loro autonomia con rilascio di uno specifico attestato.
In Italia, poi, la sistematica diversificazione in livelli aventi pari dignità
incontra forti resistenze e la regionalizzazione dell'istruzione post-diploma
è rimasta limitata a settori ridotti e considerati scarsamente prestigiosi.
E ppure la divers i ficazione non è estranea al no stro ordinamento
universitario, che oltre ai corsi di laurea ed ai più recenti diplomi universitari
prevede scuole dirette a fini speciali, scuole di specializzazione ed il dottorato
di ricerca.
Inoltre, l'autonomia didattica consente alle università di istituire anche altri
tipi di corsi (extra ordinamentali), autonomamente gestiti (in proprio o con
partner esterni) al termine dei quali non vengono rilasciati titoli di studio
ma semplici attestati di frequenza.
L'esigenza di una formazione continua
Il tema della formazione superiore porta inevitabilmente a quello della
formazione continua, che non è una novità di questi ultimi anni, pure se
solo di recente ha assunto grande rilevanza anche sotto il profilo
"politico-sociale".
E' da tempo, in realtà, che l'elaborazione culturale in materia di educafion
e le stesse strategie educative perseguite dalle istituzioni attribuiscono valore
centrale alla concezione della formazione come processo che interessa le
persone durante l'intero arco della loro vita (nell'istruzione, nel lavoro,
nella vita post-lavoro).
I fattori che hanno accelerato, negli ultimi anni, la dinamica di questo
processo sono essenzialmente di tre tipi:
Questi tre fattori, insieme con altri di recente rilevanza (si pensi, ad esempio,
agli effetti delle dinamiche demografiche), sono alla base anche del
riorientamento dei sistemi istituzionali di istruzione e formazione, in almeno
due direzioni:
La formazione continua, che deve costituire una scelta strategica per imprese
e istituzioni educative, nasce da tre esigenze:
In linea generale, si può dire che la formazione continua è essenzialmente
una filosofia della formazione che tende a rispondere positivamente alla
necessità di dare, o ridare, all'uomo una posizione centrale nella vita
economica, sociale e anche "politica", in senso ampio, delle moderne
democrazie (formazione come condizione per una piena e consapevole
espressione dei diritti di cittadinanza).
La formazione post-laurea
Pur nel non ancora ricco e consolidato panorama di esperienza a tale livello
nel nostro Paese, ci sono tuttavia sufficienti iniziative che richiedono una
valutazione.
Il dottorato di ricerca
Consapevoli che il successo dell'Italia sui mercati internazionali deriva dalla
capacità del suo sistema produttivo di creare e applicare nuove conoscenze,
occorre por mano con sollecitudine al problema della formazione dei
ricercatori iniziando ad esempio dal dottorato di ricerca, le cui modalità
andrebbero riviste perch� in genere non ritenute soddisfacenti.
Ciò è evidente se solo si pensa allo scarso numero di ricercatori che in Italia
trovano sbocco nell'industria: è un fenomeno grave che rischia di
cristallizzare la tradizionale preoccupante separatezza tra ricerca
universitaria e ricerca industriale.
Occorre superare la mentalità italiana che considera il dottorato solo come
fase iniziale della carriera universitaria, quasi che in nessun altro luogo sia
possibile o auspicabile spendere la specializzazione conseguita.
Il dottorato comporta per le università uno sforzo organizzativo e didattico
gravoso: perch� allora non consentire ad altri neolaureati di accedervi a
pagamento, come accade in tutte le università straniere? Vincolare il
Dottorato ai soli borsisti comporta un enorme spreco di risorse dei docenti,
che tendono a seguire quasi esclusivamente i giovani che lavorano
personalmente con loro, e così facendo precludono ad eventuali giovani
laureati eccellenti la possibilità di una qualificazione tipo Ph.D.
Una proposta potrebbe essere di "liberalizzare" il dottorato, assegnando
alle università, o ai consorzi ad esse collegati, il compito di fissare il numero
dei posti e di selezionare i candidati. Ciò offrirebbe anche maggiori
possibilità di collaborazione con le imprese.
Tale proposta potrà sembrare provocatoria, ma a sostegno di essa si può
segnalare che anche la nostra legislazione sta facendo alcuni passi in questa
direzione. Infatti, tra le recenti "disposizioni urgenti in materia di
occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali", contenute nella Legge
n. 451 del 19 luglio 1994 è prevista la promozione di "iniziative di ricerca
e di qualificazione e formazione di risorse umane orientate alle esigenze
delle attività produttive con particolare funzione di supporto ai processi
di sviluppo delle piccole e medie imprese".
Queste iniziative, finanziate con 50 miliardi e rivolte a giovani fino a 32
anni, sono finalizzate, in particolare, alla formazione di ricercatori orientati
allo svolgimento di attività di trasferimento tecnologico e al recupero di
competitività di strutture di ricerca industriale, anche mediante la creazione
di imprese destinate ad operare nel sistema della ricerca, della produzione
e dei servizi.
I progetti di formazione che saranno finanziati non dovrebbero dimenticare:
- il gusto di affrontare la sfida di una ricerca difficile e incerta negli esiti;
- la capacità d'uso del metodo scientifico;
- la managerialità: un progetto di ricerca implica sempre la capacità di
gestire risorse e di coordinare competenze.
Il giovane ricercatore deve vivere il ciclo completo della creatività, a partire
dallo stadio della ricerca verso la concezione dell'idea, il suo sviluppo, la
messa in produzione, la commercializzazione.
Sarebbe da chiedersi perch� questo modello non riesca ad affermarsi anche
in Europa e in Italia.
Il piccolo segnale citato, una legge con un modesto finanziamento approvata
a metà estate, va nella direzione giusta: quella della formazione
imprenditoriale dei ricercatori, della loro mobilità verso l'industria, del
trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca applicata.
I corsi extra ordinamentali
Si è già fatto cenno a tale tipo di corso come ad una delle opzioni offerte
dall'università. Si è anche detto che tali corsi non rilasciano titoli
riconosciuti ma semplici attestati di frequenza, privi di valore legale formale,
ma che comunque costituiscono titoli culturali aggiuntivi da far valere in
sede di selezione e soprattutto arricchiscono il bagaglio di conoscenze.
Più in particolare tali corsi, che si suddividono in corsi di perfezionamento
ed in corsi di aggiornamento, hanno la finalità di trasmettere in modo
rapido a segmenti di utenza selezionata gli approfondimenti in talune
discipline, già oggetto dei corsi di laurea, o i risultati di ricerche scientifiche
avanzate espresse dai dipartimenti. I corsi di aggiornamento non sono
riservati ai possessori di titoli accademici, ma sono aperti a quanti operano
in particolari rami di attività economiche e professionali.
Dall'insieme degli elementi descritti i corsi extra ordinamentali emergono
come tipologie corsuali universitarie più flessibili nell'adeguarsi alla
domanda formativa espressa dal mondo produttivo e dalle aziende. Per
l'autonomia di cui le università godono, per la snellezza organizzativa, per
la libertà nel convenzionarsi con l'esterno, i corsi extra ordinamentali
possono costituire la risposta dell'università agli istituti manageriali di
formazione e possono consentire alle università di giocare un ru�lo non
secondario nel mercato della formazione post experience a servizio delle
aziende, senza gli impacci rappresentati da vincoli burocratici, dall'esigenza
di certificazione legale dei titoli, dal condizionamento di ordinamenti
nazionali.
In realtà le potenzialità insite negli strumenti formativi non si traducono
meccanicamente in risultati positivi: le imprese e le associazioni coinvolte
in collaborazioni didattiche con l'università lamentano spesso il disagio
dovuto alla grande fatica di realizzare iniziative con caratteri di economicità
di tempo e di organizzazione, esprimendo quindi giudizi negativi non tanto
sull'efficacia quanto sull'efficienza di tali iniziative.
Operare nel campo della formazione professionale pone notevoli problemi
di gestione alle università perch�, trattandosi di una attività potenzialmente
redditizia, si richiedono modelli di gestione diversi da quelli della didattica
tradizionale.
I corsi master
Poche parole riserviamo al master, in genere offerto dal mercato privato
della formazione manageriale oltre che da poche università, poich� di tale
prodotto si parla diffusamente in questo volume.
A questo proposito c'è da rilevare che il mercato offre molti prodotti con
la denominazione di master spesso molto differenti tra loro.
Al fine di offrire alla potenziale utenza una chiave di lettura che consenta
di orientarsi in un'offerta dai connotati spesso incomprensibili, l'ASFOR
(una associazione fra le scuole di formazione italiane) ha dato vita ad un
processo di accreditamento in modo da garantire il possesso da parte di
un prodotto dato dei requisiti minimi necessari per assicurare una
formazione di qualità, che è fattore fondamentale ed indispensabile per
l'efficacia del programma. Secondo i criteri a questo fine predisposti, un
programma master si basa su tre variabili essenziali:
- le caratteristiche dei candidati e quindi il processo di selezione;
- l'iter formativo e quindi l'utilizzo di strumenti teorici e operativi in
relazione agli obiettivi;
- il risultato finale e quindi le capacità acquisite dai partecipanti e le concrete
opportunità di sbocchi occupazionali.
La collaborazione con le imprese
La formazione di risorse umane di eccellenza, per una società che pretende
e vuole essere una società avanzata nello sviluppo, è una responsabilità
collettiva che non può essere affidata ad una sola delle forze sociali. Anche
il mondo imprenditoriale awerte tutta l'importanza di concorrere al
miglioramento delle istituzioni educative, prima fra tutte l'Università.
La Confindustria condivide l'orientamento ad una ampia formazione
culturale di base che caratterizza il modello universitario italiano rispetto
a quelli di altri paesi.
Occorrono, infatti, vaste e diffuse conoscenze scientifiche che irrorino le
competenze tecniche applicate, ed esse vanno integrate da una solida
componente umanistica, quella dotazione culturale indispensabile per una
costante apertura di orizzonti, per l'inquadramento corretto del fattore
umano nell'impresa.
Una delle esigenze più rilevanti della società occidentale è quella
dell'incontro tra il mondo della scienza e quello della produzione per
assicurare ai cittadini sempre più elevati traguardi di sviluppo, di
conoscenze, di progresso civile.
La cooperazione tra imprese e università in Italia ha conosciuto
un'accelerazione nell'ultimo decennio.
Possiamo rapidamente ricordare i momenti chiave che hanno scandito la
storia più recente di questa collaborazione:
- la costituzione dei consorzi università-industria;
- le convenzioni-quadro tra università e associazioni industriali;
- i programmi comunitari di ricerca e di formazione avanzata;
- le attività formative comuni: i master, gli stage e i tirocini, l'orientamento
professionale, le tesi di laurea finalizzate, l'istruzione permanente;
- i contratti di ricerca applicata e il trasferimento tecnologico;
- lo sviluppo dei parchi scientifici e tecnologici;
- la nascita dei diplomi universitari di primo livello.
Le esperienze vissute ci aiutano a ridefinire le ragioni della cooperazione
tra università e imprese.
Queste ragioni possono essere ricondotte a tre:
- l'aumento della competizione internazionale;
- la diffusione delle conoscenze scientifiche;
- la formazione efficace delle risorse umane.
Le ragioni di cooperazione che abbiamo descritte definiscono così la
strategia che motiva il mon do industriale ad entrare in rapport o con gli
atenei e con tutti i luoghi di produzione del sapere. Quando le nostre
associazioni territoriali e le nostre imprese avviano azioni comuni con
l'università, apportano risorse scientifiche, tecniche, economiche che non
intendono essere aggiuntive e nemmeno sostitutive delle risorse istituzionali.
In sintesi la nostra strategia è creare sinergia tra università e industria.
E noto che le più significative esperienze di collaborazione si sono realizzate
nelle realtà a più elevata vocazione industriale.
Tali esperienze ci hanno insegnato che è necessario superare insieme le
difficoltà che inevitabilmente emergono.
In tutti i paesi avanzati sono stati creati dei fori privilegiati di dialogo e
di cooperazione culturale tra università e industria. Non importa se questi
fori siano istituzionali o informali.
E invece importante che diano a universitari e industriali la possibilità di
conoscersi a fondo, di apprendere i rispettivi linguaggi, di maturare una
responsabilità comune, di elaborare grandi programmi, politiche nuove e
di forte respiro progettuale.
Abbiamo bisogno di delineare un metodo della collaborazione, di darci
delle regole per progredire nel dialogo e nelle realizzazioni comuni.
Uno studioso americano, Don Blandin, ha indicato, dopo una decennale
es perienza in un organi smo di c ollab or azi one universit à - impresa (United
States Business - Higher Education Forum), i cinque "segreti" del successo
nella cooperazione tra imprenditori e universitari:
- la qualità delle relazioni interpersonali;
- la fiducia reciproca;
- la pazienza;
- la flessibilità;
- il pensare in grande.
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